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OO 337b - Idee sociali – realtà sociale – prassi sociale – Vol. II



PRIMA SERATA DI DOMANDE
in occasione del primo corso universitario antroposofico

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Dornach, 10 ottobre 1920



Domande sulla vita economica I



Egregi convenuti! È stato espresso il desiderio che io parlassi ancora un po', qui, più di questioni economiche, dunque di quello che, nella triarticolazione dell'organismo sociale, è il settore economico. Ora veramente era mia intenzione, proprio durante questo corso universitario, impiegare le mie forze per mostrare come nei più diversi ambiti scientifici e nella vita in generale la scienza dello spirito possa agire in modo fecondo. Il settore della vita economica è proprio quello che ha bisogno innanzitutto della collaborazione, fatta con piena comprensione, delle persone pratiche attive all'interno del movimento antroposofico. E prima di tutto è necessario che ciò che le persone pratiche sono riuscite ad acquisire nella loro vita pratica venga avvicinato alla scienza dello spirito così come le si è già avvicinato da molte parti, in modo tanto bello e in diverse direzioni il patrimonio scientifico. Ora, parleremo subito di queste cose più nel dettaglio. Dato che è stato espresso il desiderio che anch'io dicessi qualcosa sul terzo settore dell'organismo sociale, ho creduto di farlo al meglio se le domande poste dagli egregi gruppi di convenuti venissero messe su carta, in modo che io in certo qual modo le potessi inserire nella conferenza. Oggi però la giornata è stata così impegnata che questo non stato affatto possibile nel modo che auspicavo, perché le più svariate domande sono state raggruppate in 39 domande che ora veramente non potevano essere studiate nel breve tempo che oggi avevo a disposizione. Ma oltre a questo, dal modo in cui queste domande sono state poste, ho visto quanto in realtà ci sia ancora da fare proprio in quest'ambito, e perciò sarà necessario che oggi io parli di alcune cose che in un certo senso risultano dall'impressione generale che queste domande suscitano. E poi coglierò ancora l'occasione, martedì prossimo alle 8:00, di proseguire con le osservazioni di oggi entrando più nello specifico, magari in modo da rispondere a queste persone che hanno posto le domande e anche ad altre che vogliano sapere ancora qualcosa su questi argomenti. Oggi in un certo senso vorrei parlare solo in modo preliminare, in modo che martedì possiamo entrare in modo del tutto pratico nei dettagli. Ma questi preliminari sono necessari per una comprensione reciproca più sana. Poi, forse proprio martedì sera, si potrà di nuovo aggiungere a quel che avrò da dire una specie di dibattito generale, una specie di discussione, e forse così verremo a capo della cosa.

Egregi convenuti, anche se l'ho già fatto una volta in queste ultime serate, prima di tutto vorrei di nuovo sottolineare che il mio libro I punti essenziali della questione sociale e annesso a questo anche l'altro libro che adesso è stato pubblicato dall'editrice di Stoccarda Der Kommende Tag, In margine alla triarticolazione dell'organismo sociale, che questi due libri appunto sono pensati in senso assolutamente pratico e che chi li prende in senso teorico appunto li fraintende. Essi sono pensati come indirizzati a persone che in un certo senso sono capaci di sentire e di considerare la vita sociale con chiarezza e vivacità. Con persone diverse da queste, in sostanza, non si potrà affatto nemmeno sostenere quella che oggi viene chiamata 'la questione sociale'. Innanzitutto ho anche già sottolineato che in questi due libri non si deve cercare nulla di utopistico. Ma ho dovuto constatare che in sostanza molte persone che si accostano a questi due libri, in base ad una certa tendenza della nostra epoca, si limitano a tradurre la cosa in qualcosa di utopistico, nell'utopia di farsi delle rappresentazioni secondo i loro propri gusti, che poi si presentano utopisticamente. Vorrei richiamare la vostra attenzione su un'osservazione che trovate in una qualche pagina dei miei Punti essenziali.

Lì dico chiaramente: “In una cosa che è pensata in senso pratico, che è pensata in senso pratico come un'esigenza dell'epoca, sui dettagli della realizzazione si possono avere idee diverse”. E perciò nel libro I punti essenziali della questione sociale in realtà sui singoli dettagli dò solo spiegazioni a mo' di esempio. Ciò che vi si dice sull'una o sull'altra questione di dettaglio riguarda le cose che nella vita pratica si possono realizzare nei modi più svariati. Che io parli di queste cose anche inserendo un [possibile] modo di realizzarle [avviene perché] si possa vedere in modo evidente che tutto l'impulso della triarticolazione dell'organismo sociale si inserisce nella realtà. Prima di tutto era mia opinione che, dopo la pubblicazione di questo libro, delle persone pratiche, stimolate di questo libro, si sarebbero messe a far fluire i risultati della loro vita pratica nella corrente della questione sociale.

Anche dalle domande che mi sono state nuovamente poste oggi vedo quanto pensiero non pratico in realtà viva profondamente nella nostra epoca e quanto, proprio per l'uomo del presente, sia difficile riuscire a pensare in senso pratico. Proprio questa è la tragedia della nostra epoca, questa è la grande difficoltà che non ci consente di accostarci veramente alla vita: il fatto che da una parte siamo totalmente immersi in vedute e in idee materialistiche che abbiamo assorbito esercitando unilateralmente le scienze naturali, il fatto che, essendoci abituati a vedere tutte le cose nello stesso modo in cui dobbiamo necessariamente considerare le cose esteriori naturali (anche le cose che devono essere considerate diversamente da queste cose esteriori naturali, cose che innanzitutto rendono necessario che si penetri più in profondità di quanto sia necessario fare riguardo alle cose esteriori naturali) per queste cose in realtà abbiamo totalmente perso il sentimento di come vadano trattate. E così da una parte si pensa in modo del tutto materialistico e dall'altra in modo del tutto astratto, del tutto astratto proprio sulle cose sociali. Si pensano pensieri che non hanno nemmeno la più remota prospettiva di intervenire nella vita reale. Oppure invece succede anche che le persone che credono di formulare qualcosa di veramente reale si profondano semplicemente in generici luoghi comuni. Proprio riguardo alle persone pratiche oggi ci siamo abituati al loro profondersi in generici luoghi comuni quando si pronunciano su qualcosa che deve essere trattato in modo assolutamente concreto, come la questione sociale. È proprio così: veramente con un'educazione secolare all'interno della civiltà occidentale non siamo stati portati più vicini alla vita, bensì in realtà siamo stati estraniati dalla vita. E direi che la conoscenza di quanto si è stati estraniati dalla vita salta fuori da ogni parte, ma si disconoscono la natura e il carattere di questa alienazione. Li si disconosce all'interno dei più diversi partiti, e ogni partito continua sempre a dare la colpa all'altro. Questo per esempio mi è parso chiaro proprio anche nelle domande che sono state poste.

Qui c'erano delle domande che mi hanno ricordato alcune amarezze che ho dovuto provare dedicandomi per decenni alla visione dei rapporti sociali moderni, attuali. Qui, per esempio, emerge in diverse forme la domanda che ricorda la quasi impossibilità di quella comprensione che dovrebbe esserci fra il proletariato da una parte e le altre classi sociali dall'altra. Qui c'è una domanda, da parte proletaria, che in realtà assume la forma di un'accusa, di un'aspra accusa. Affinché nulla rimanga sullo sfondo, ma si stia uno di fronte all'altro con totale onestà, sincerità e verità, posso leggervi questa domanda, che in realtà implica un'accusa:

Gli operai qui riuniti hanno fatto esperienza del fatto che una collaborazione con gli antroposofi, con le cerchie borghesi, non è possibile: soprattutto fra gli studenti sembra mancare l'impulso a calarsi in una collaborazione con tutti gli uomini, altrimenti per loro sarebbe impossibile continuare, qui, con la compagnia universitaria.

Questo da una parte, egregi convenuti: nessunissima conoscenza di quanto proprio fra gli studenti ci sia una lotta per giungere a chiarezza sulle esigenze sociali del nostro tempo! Si è insinuata una terribile mancanza di fiducia proprio nella sfera del proletariato. E chi sia in grado di osservare la questione sociale con gli occhi aperti non può assolutamente trascurarla, questa mancanza di fiducia, perché essa è uno dei fattori più reali. Però in realtà riguarda meno gli studenti, che a parer mio vengono accusati a torto da parte del proletariato, almeno non riguarda una parte degli studenti. Però, egregi convenuti, in generale bisogna dire che nella nostra epoca proprio nelle cerchie della borghesia e di coloro che appunto stanno al di sopra e al di sotto della borghesia è veramente poco presente la tendenza a considerare la questione sociale proprio nel suo aspetto proletario, a conquistarsi veramente la comprensione del fatto che la questione proletaria è in stretta relazione con la questione sociale in generale e quindi in generale con il destino della nostra civiltà moderna. Come ho detto, oggi parlo solo in modo preliminare, per poi capirci meglio, perché queste cose risultano pienamente comprensibili solo se si sa da quali fondali emergano.

Vedete, egregi convenuti, quando l'anno scorso, in aprile, a partire dal Württemberg, abbiamo iniziato ad agire per un risanamento della nostra vita sociale nel senso dell'Appello da me stilato e dei miei Punti essenziali delle questione sociale, era il periodo che in un certo modo ancora (che l'uno voglia definirlo coperto d'ombra, l'altro investito di luce), che dunque era coperto d'ombra o investito di luce da quella che, come una specie di onda rivoluzionaria, attraversava l'Europa; e allora inizialmente la grande borghesia e il suo seguito, la popolazione imprenditoriale, si trovava allo stadio dei fifoni. Essi avevano una paura tremenda di quel che sarebbe potuto venir fuori dal fondo dell'esistenza sociale proletaria, e proprio in aprile e maggio si arrivò ad un'ondata sociale in cui veramente si agì (meglio dire si sognò) fino in vaste cerchie nel socialismo, almeno nella socializzazione. Ma poi i tempi cambiarono. In realtà si scoprì quanto poco istruito sia per ora il proletariato per arrivare veramente anche solo a formulare chiaramente le proprie esigenze basandosi su se stesso, in modo che ne possa derivare un qualcosa di socialmente positivo. Certamente, le più vaste cerchie del proletariato avrebbero portato incontro comprensione proprio all'impulso della triarticolazione, se si fossero potuti superare quelli che sono i capi di questo proletariato. E a questo riguardo non dobbiamo proprio farci alcuna illusione, lo si può chiarissimamente dimostrare con l'esperienza che abbiamo fatto proprio nella nostra attività: il proletariato riuscirà ad avere chiarezza solo quando tutti i capi se ne saranno andati ed esso potrà basarsi sui suoi propri istinti, sul suo proprio intelletto. A quelli si potrà parlare. Agli istinti dei proletari si potrà parlare, all'intelletto dei proletari si potrà parlare, ma non si può parlare ai capi, che uniscono in sé due caratteristiche: la prima è quella di ripetere orribilmente a pappagallo le ideologie preconfezionate loro dai borghesi, e la seconda è quella di avere, in tutta la loro affettazione, esagerate movenze borghesi del più ordinario atteggiamento da borghesuccio. Ma questo, come ho detto, è rivolto solo contro i capi.

Ma bisogna riconoscere che in generale, nella nostra epoca, è necessario tener conto con la massima serietà e in modo radicale del fatto che tutto ciò che riaffiora dall'epoca precedente e che vuole far riemergere quel che c'era prima del 1914 non è adatto per continuare a costruire – questo deve essere riconosciuto. E finché in tutte le parti del mondo civile non si pensa altro che così: “Come si ottiene che questo o quello ottengano una carica o l'altra, perché prima l'avevano già avuta, quella carica, prima del 1914 o durante la guerra?” Finché si pensa in questo modo, praticamente non si potrà far nulla per progredire. Abbiamo un bisogno assoluto di persone nuove che si basino su un modo di pensare nuovo. Non possiamo avvalerci di quelli ai quali si vuole di nuovo ricorrere perché è molto più comodo che sviluppare pensieri che suscitino stima per persone nuove. Ho detto che i tempi cambiarono. Il proletariato si dimostrò incapace di giungere a chiarezza da sé. Poco a poco la vigliaccheria si trasformò in una specie di sicurezza, sicurezza al punto che ci si disse: “Ora possiamo cercare di continuare a procedere sui vecchi binari”. Vorrei dire che allora di settimana in settimana si poté capire che tutta quella che era l'imprenditoria di prima ricadde nelle vecchie pose di pensiero; e adesso in sostanza vi si trova di nuovo totalmente dentro, senza avere alcun sospetto di stare danzando su un vulcano. Questa fu proprio la prima esperienza: che risultò per così dire la totale inutilità dei capi del proletariato e che, dall'altra parte, risultò la totale impotenza di coloro che prima, qua o là, avevano avuto posti dirigenziali proprio in ambito economico. Ecco, ora queste cerchie e il seguito di queste cerchie veramente non hanno alcuna inclinazione a conoscere ciò che in realtà pulsa nel presente, ciò che, certamente spesso in modo non chiaro, vuole farsi strada verso la superficie proprio fra il proletariato. Appunto semplicemente non si vuole avere a che fare con ciò di cui si tratta.

Perciò si è capito così poco il primo terzo dei miei Punti essenziali della questione sociale, quel primo terzo che si impegna soprattutto a spiegare quella 'partita doppia' – ora non intendo quella di cui ha parlato il signor Leinhas qui in rapporto alla storia, ma un'altra, cui anch'egli ha accennato, - è quella partita doppia cui si è arrivati gradualmente e che consiste nel fatto che, per così dire, da una parte si osserva il mondo solo secondo i suoi nessi materiali, meccanici, che si pensa solo in questo contesto materiale, meccanico, che, come ho già accennato una volta, rende la vita pratica routine, e dall'altra parte poi si vuole sviluppare tutta la bellezza possibile, tutta la spiritualità possibile, tutta la moralità possibile.

Sappiamo quanto le persone pratiche si impegnino per avere la pratica dentro la fabbrica, ma poi, quando la sera chiudono la porta dell'ufficio, aspirano ad abbandonarsi a qualcosa in cui i loro pensieri possano vivere liberamente, in cui l'anima possa evolversi, in cui ci si possa scaldare l'anima con pensieri che, infine, ci liberano da quello che c'è dietro la porta dell'ufficio ecc.; fuori dalla fabbrica deve ancora esserci una vita spirituale – questo sarà ben un motto [per queste persone], e in realtà il mio libro ha voluto ribaltare questo motto. In questo libro ho voluto richiamare l'attenzione sul fatto che non si tratta di chiudersi alle spalle la fabbrica per trovare la vita spirituale al di fuori di essa, ma di portare in fabbrica, quando domani ci si ritorna, lo spirito, affinché la vita materiale, meccanica, possa essere compenetrata dalla ragione, dallo spirito ecc., affinché lo spirito non si sviluppi accanto alla vita reale come un lusso, come poco a poco è successo a causa di questa partita doppia. Da una parte ci sono i soliti affari, che oggi non serve che vi descriva oltre come spesso sono, e dall'altra parte c'è la Chiesa, ci sono le mani giunte, c'è la preghiera per una felice vita eterna, il tessere l'uno nell'altro dei due.

Quello che è necessario, il pensare integrato, per moltissime persone è massimamente scomodo. Esse vorrebbero avere da una parte una routine priva di spirito, che si ottiene non essendo, in realtà, realmente coinvolti, e dall'altra parte vorrebbero avere una sfumatura mistica, con la quale poter soddisfare la voluttà della propria anima. Quante volte ci è successo, e soprattutto nel periodo in cui si sarebbe dovuti passare dal lavoro antroposofico spirituale all'impegno pratico, che ci si avvicinassero delle persone della vita pratica che volevano diventare qualcosa, che volevano diventare qualcosa nella vita pratica secondo gli usi consolidatisi negli ultimi decenni? Come vogliono, queste persone, diventare qualcosa? Le discussioni che sono state fatte quando si dovevano reperire delle persone, diciamo per il Futurum o per il Kommender Tag (ma persone che vi avrebbero dovuto lavorare con quella vera spiritualità che vince la materialità) queste discussioni [hanno mostrato] che al giorno d'oggi è difficilissimo trovare queste persone, per il semplice motivo che nella vita economica è invalsa l'usanza che in realtà il giovane venga istruito da fuori. Si fa portare da qualche parte in un'attività, ma in realtà con i suoi pensieri ha una vita spirituale da qualche altra parte, a volte anche molto buona, però non porta lo spirito nella sua attività. Non vi è presente con la propria anima, si fa istruire da fuori, vi acquisisce la pratica professionale; poi si fa mandare da qualche parte, in America o a Londra, e lì viene istruito ulteriormente. Quando sa come si fa, torna indietro e si dedica a questo o a quello. Ecco, egregi convenuti, questo ci porta alla questione sociale, perché con persone del genere non si riesce ad andare avanti; se non ci decidiamo a far luce su queste cose e a porvi mano, non si riuscirà a far nulla. Ci servono persone che vengano educate, già a scuola, ad intervenire poi con la loro iniziativa, quando si tratta di prepararsi nel giusto modo per la vita pratica, in modo che in un certo senso l'iniziativa voglia provenire dalla persona stessa. Comunque a tal pro è necessario che la scuola non uccida questa iniziativa calpestandola. Questa è, direi, la cosa considerata proprio dal lato umano.

Uno spirito totalmente diverso deve fare ingresso nella nostra vita economica. Questo spirito vivificherà prima di tutto quel nesso che deve sussistere fra l'uomo e quel che egli, indirettamente o direttamente, fa nel mondo. In molti settori della nostra vita questo collegamento non è più affatto giusto. Per molte persone è assolutamente indifferente ciò di cui si occupano sul lavoro, il modo in cui ciò di cui si occupano si inserisce nel contesto sociale. Si interessano solo di quanto col loro lavoro guadagnano, cioè riducono tutto l'interesse per il mondo esteriore, materiale, all'interesse che possono avere per la quantità di denaro che possono acquisire da questo mondo esterno grazie alla specifica costellazione in cui, rispetto a questo mondo esterno, esse si trovano. Questa riduzione all'interesse per il guadagno anziché a quel che si fa è ciò che in sostanza avvelena tutta la nostra vita economica. Ma qui si trovano anche i gravi ostacoli alla comprensione verso l'impulso della triarticolazione dell'organismo sociale.

Come ho detto, sto facendo dei preliminari, ma oggi vorrei già accennare aforisticamente ad alcuni particolari. È stato ripetutamente detto (anche questo è giusto) che si debba puntare ad una vita economica che sia dominata da impulsi associativi. Le associazioni... ho fatto un'esperienza strana. Una volta, a Stoccarda, ho parlato delle associazioni ad un gruppo di proletari. Essi mi dissero: “Abbiamo sentito parlare di tutto il possibile: di cooperative, di trust, di cartelli, di cartelli/sindacati ma di che cosa dovrebbero essere le associazioni, non abbiamo ancora sentito dire niente”. Bisogna proprio considerare la novità di questo concetto in modo del tutto pratico, soprattutto dal punto di vista della vita economica, in modo assolutamente pratico, direi che bisogna riuscire ad afferrarlo in modo del tutto evidente, se si vuole venire a capo di queste cose. Le associazioni non sono cooperative, le associazioni non sono cartelli, né cartelli/sindacati; le associazioni sono prima di tutto unioni, meglio dire legami, che mirano interamente ad un determinato scopo. Quale può essere questo scopo?

A poco a poco ci avvicineremo ad una comprensione pratica della vita economica: quale può essere questo scopo? Egregi convenuti, questo scopo non può essere nessun altro, che quello di puntare ad una ben precisa formazione dei prezzi delle singole merci. Non si riuscirà a pensare in modo correttamente economico fino a che non si sarà in condizione di spostare in questo modo il problema dei prezzi al centro di questo pensiero economico, come lo fa (forse non più in modo pedante con teorie, ma secondo l'intero spirito) il terzo terzo del mio libro I punti essenziali della questione sociale.

Infatti cos'è l'importante, nel problema dei prezzi? L'importante è che di fatto ogni merce può avere solo un determinato prezzo, dovrebbero esserci al massimo piccole oscillazioni verso l'alto e verso il basso. Ad ogni merce corrisponde un determinato prezzo, perché, egregi convenuti, il prezzo di una merce è (prescindete ora dal denaro, dopodomani parlerò ancora anche di questo), il prezzo di una merce non è altro che ciò che rappresenta il suo valore in proporzione al valore delle altre merci di cui le persone hanno bisogno. Il prezzo esprime un rapporto, per esempio il rapporto fra il valore di una gonna e quello di una pagnotta, o fra quello di uno stivale e quello di un cappello. Questa proporzionalità è ciò che infine porta al problema dei prezzi. Ma questa proporzionalità non la si può risolvere con la normale aritmetica, né la si può determinare per legge, nessun ente lo può fare, ma la si può raggiungere solo con il lavoro associativo.

Infatti, cos'è che nell'attuale vita economica va incontro ad una sana formazione dei prezzi, e al tempo stesso che cos'è che ci ha portati a questa miseria economica che stiamo vivendo? È il fatto che il prezzo delle merci non si forma a partire dalla vita economica, ma fra le merci d'uso (fra le merci che corrispondono ai bisogni) si infila qualcosa che non può essere merce, che può solo servire come mezzo per pareggiare i rapporti di valore reciproci delle merci: il denaro. Come ho già detto, parleremo di tutto questo in modo ancora più preciso, ma adesso voglio anche abbozzare qualcosa di generale. Il denaro è dotato del carattere di merce, precisamente perché si è instaurato quel rapporto realmente non chiaro fra denaro cartaceo e valuta aurea che adesso ha raggiunto la sua culminazione. Così è diventato possibile persino che ora non si scambino solo le merci e che il denaro non serva solo da mezzo di facilitazione per lo scambio in una vasta area ad importante suddivisione del lavoro, suddivisione delle attività, ma che il denaro stesso sia diventato una merce. E lo si nota semplicemente per il fatto che col denaro si può trafficare, che il denaro può essere comprato e venduto, che il valore del denaro cambia con le speculazioni, che cambia con ciò che si compie sul mercato del denaro. Ma ora qui vi si immischia qualcos'altro, qualcosa che mostra in modo assolutamente evidente che al giorno d'oggi lo Stato unitario tiene ancora insieme ciò che si vuole triarticolare. Il denaro, così come lo abbiamo oggi: il suo valore viene per così dire stabilito per legge dallo Stato. Dallo Stato parte l'impulso che sostanzialmente determina il valore di questa 'merce'. E a causa di questa cooperazione di due cose, dello scambio delle merci e del fatto che lo Stato stabilisce il valore del denaro, a causa di questo tutta la nostra vita economica viene appunto resa confusa, così da non essere più affatto intuibile dall'uomo che oggi vi è inserito. Se però le persone che si trovano all'interno della vita economica volessero sinceramente ammettere che da una parte una certa quantità di denaro in circolo è una totale astrazione economica (circola come il concetto più astratto in assoluto nel nostro pensare), che dall'altra parte ci sono la produzione, lo scambio e il consumo delle merci così strettamente connesse al benessere e al malessere, e che per così dire una specie di grande falsificazione del valore attuale delle merci sovrasta tutto, cancella tutto quel che dovrebbe proprio essere vivente in termini di reciproca determinazione del valore delle merci! Però appunto anche queste cose non vanno osservate in modo sedizioso, ma bisogna considerarle in modo del tutto realistico e obiettivo, del tutto oggettivo, altrimenti non si riesce nemmeno ad avvicinarsi alla cosa. Idealmente, per prima cosa deve avvenire che all'interno della vita economica ogni genere di merce deve avere, in modo assolutamente concreto, un valore ben preciso. Il valore di un qualsiasi genere di merci X deve essere in rapporto evidente con quello degli altri generi di merce. Però affinché questo valore emerga sono necessarie alcune cose. Prima di tutto è necessario che ci siano le conoscenze, le reali conoscenze tecniche universali, per poter produrre per un certo periodo la merce in questione nelle migliori condizioni possibili e in modo razionale, cioè con impiego della minima forza lavoro e senza nuocere alle persone. E in secondo luogo è necessario che nell'[intero processo produttivo] non vengano impiegate più persone di quante ne debbano essere impiegate, in modo che proprio a questa determinata merce venga attribuito, in base ai suoi costi di produzione ecc., quel determinato prezzo, quel prezzo chiaramente determinato. Se troppi operai sono occupati a produrre merce di un determinato genere, la merce ha un prezzo troppo basso; se sono impiegati troppo pochi operai, la merce ha un prezzo troppo alto; e perciò è necessario che nella vita economica si scopra quante persone debbano essere impiegate in un determinato settore della produzione delle merci.

Questa conoscenza del numero di persone occupate, che lavorano per la produzione di un preciso genere di merce pensato per il consumo, questa conoscenza è necessaria per giungere al punto culminante della vita economica, al problema dei prezzi. Ciò avviene perché si lavora positivamente, in quanto nella vita economica si tratta con le persone su come esse debbano essere collocate al loro posto. Ovviamente questo non va inteso in modo pedante, né va inteso in modo burocratico. Noterete che proprio ciò che vogliono I punti essenziali della questione sociale assicura alle persone anche la piena libertà economica. Qui non si tratta di una leninizzazione o trotzkizzazione burocratica o meccanicistica, ma si tratta di associarsi in modo che da una parte proprio la vita industriale venga concepita nel giusto modo e dall'altra parte la libertà dell'uomo sia pienamente tutelata. Vedete dunque di che cosa infine si tratta. Ma poi, come si inserisce il denaro, lo rivedremo ancora dopodomani.

La prima cosa importante è (nonostante qui intervenga il denaro) il valore reciproco delle merci, dunque il valore dei prodotti del lavoro umano. È questo l'importante, e le associazioni devono mirare ad ottenere questo valore per mezzo di ciò che esse fanno nella vita economica, per mezzo delle loro trattative, dei loro contratti reciproci ecc. Ecco, come avvengono dunque quelle trattative che hanno a che fare con il valore reciproco delle merci? Mai organizzando ciò che è uguale, facendo corporazioni di ciò che è uguale, ma esclusivamente con le associazioni. E per me come dovreste sapere quale dovrebbe essere il rapporto fra il prezzo dello stivale e quello del cappello, se non fate collaborare per via associativa i cappellai con i calzolai, se non si realizza un'associazione, se non vengono formate delle associazioni? Associazioni all'interno di un settore non ce ne sono, perché queste non sono associazioni, le associazioni vanno da settore a settore, vanno prima di tutto anche dai produttori ai consumatori. Le associazioni sono l'esatto contrario di ciò che porta al trust, al cartello e cose del genere. Poi vedremo ancora come siano necessarie anche certe connessioni fra gli imprenditori di un genere di merce; ma in quel caso hanno una funzione completamente diversa. Ma quella che è la nascita (non dico il fissaggio, ma la nascita) del giusto prezzo può avvenire solo attraverso la vita associativa che va da settore a settore; quando le associazioni collaborano, con le loro esperienze, soltanto allora grazie all'esperienza può essere fissato il prezzo giusto. Questo non sarà nemmeno più complicato, per esempio, della vita nei nostri Stati polizieschi o nelle nostre democrazie; al contrario (nonostante vada da settore a settore) prenderà forma in modo molto più semplice.

Ora bisogna che sia chiaro anche che la vita pensa in modo del tutto diverso, se posso esprimermi così, da come pensano gli astrazionisti, anche se sono persone pratiche. Questi astrazionisti penseranno prima di tutto: “Dunque, si tratta o di associazioni di produttori [fra loro] oppure di associazioni fra i produttori e i consumatori”. Sì, però, egregi signori qui convenuti, questa è proprio solo una questione di tempo. Provate un attimo a pensare (viene disegnato alla lavagna), se associate i produttori-ramo A con una qualche somma di consumatori B, questi con i produttori del ramo C e questi a loro volta in qualche modo con una somma di consumatori D, bene, allora nasce un'associazione.

Tavola 6
Tavola 6

Però nasce in modo che prima si è guardato solo ai produttori oppure si è guardato solo ai consumatori; ma il consumatore è un produttore di un altro articolo, a meno che non sia un pensionato o un poltrone. Non si tratta affatto di seguire categorie [astratte]; se pensate la cosa più universalmente e fate associazioni da tutte le connessioni, all'interno di queste connessioni avete anche i consumatori. Ma così come oggi le cose stanno in pratica, così non si può affatto cominciare con i produttori fra loro, qui appunto nascerebbero solo trust o cartelli, che non voglio affatto dire che vorrebbero, ma addirittura che potrebbero avere solo interessi imprenditoriali.

Al giorno d'oggi si tratta [di formare] queste associazioni prima di tutto secondo il modello che una volta ho presentato come un modello assolutamente primitivo. Noi stessi una volta abbiamo voluto creare, nella Società Antroposofica, un gruppo di consumo per il pane e associarlo ad un produttore di pane, così che qui [dovette nascere] un rapporto fra tutto ciò che in un certo senso gli antroposofi potevano pagare, per il fatto che essi [stessi] al tempo stesso producevano qualcosa [altro]; e per il controvalore di ciò che producevano ricevevano quello che produceva il fornaio in questione. Dunque di fatto si andò ad agire sul prezzo nel reciproco movimento d'affari. Questa sarà la natura di queste associazioni: che a poco a poco, funzionando veramente nel modo giusto, esse tendono al giusto prezzo economicamente giustificato.

Se riflettete correttamente su una cosa del genere, vedrete che l'esperienza pratica, per quanto si riesca ancora a farla nella perversa vita economica dei giorni nostri, non contraddice affatto tutto ciò. Infatti, prendete l'economia più semplice in assoluto: anche per chi è capace di economizzare nell'economia più semplice in assoluto, alla fin fine si tratta si trovare i prezzi giusti, ed egli sviluppa i prezzi giusti appunto in base alle sue condizioni. Egli determina i prezzi giusti partendo da due componenti insieme: prima, da quanto vorrebbe ricevere in cambio dei suoi prodotti, e secondo da ciò che riceve; cioè, anche se il tutto è ancora così indefinito, egli stipula già un'associazione con i consumatori. Essa è sempre presente, anche quando non è stipulata esteriormente. Solo che la nostra vita è diventata così complicata, che dobbiamo appunto portare queste cose a piena coscienza e allo sviluppo esteriore. Se non si prende dimestichezza con queste cose, ne viene sempre fuori qualcosa di utopistico. Ma prima di tutto sarebbe necessario che venissero raccolte le esperienze che sono innanzitutto connesse alla produzione e al consumo. E in quelle cerchie che collaborano con noi avremmo bisogno, prima di tutto, di persone pratiche che sappiano in un certo senso saldare insieme le esperienze di vita in una scienza esperienziale sulla vita economica, in modo (e questo potrebbe assolutamente essere) da poter partire in origine dall'esperienza.

Ma oggi, egregi convenuti, fra gli economisti potete leggere delle cose più o meno in questo stile: Qui, per un certo territorio, diciamo per la Germania, viene calcolato quanto dell'intero patrimonio, oppure diciamo dagli incassi di tutto l'anno che vengono fatti in questo territorio, costituisce i profitti degli imprenditori, quanto costituisce gli importi che devono essere impiegati per il commercio di intermediazione in grandissimo stile, e poi lo si calcola in denaro, secondo il marco. E di regola quelli che parlano di queste cose da economisti riducono tutto all'astratta condizione del denaro. Però in tal modo non si raggiunge alcuna visione del reale corso delle situazioni economiche. Una visione la si avrebbe soltanto se si ascoltasse cosa hanno da dire coloro che sono inseriti nella vita economica su come si lavora nel commercio di intermediazione. Qui per esempio ci si fa spiegare come proprio nel commercio di intermediazione trovino riparo esistenze di vita fallimentare. E si verrebbe per esempio a sapere anche l'interessante fatto che in un ambito economico chiuso viene immesso sul mercato pressapoco tanto profitto imprenditoriale quante scorte di merci non necessarie. Succede in un modo curiosissimo che il numero che per un qualche territorio viene stabilito come la somma dei profitti imprenditoriali corrisponde circa al prezzo fissato dal mercato di quelle merci che sul mercato figurano inutilmente come merci di scorta, che non vengono vendute. Qui vedete un nesso che si può osservare, che si può sintetizzare, ma che verrebbe illuminato in modo interessante se le persone pratiche che in realtà in sostanza non capiscono nulla della pratica reale, se questi esperti venissero a mostrare una buona volta come vadano veramente le cose per loro, affinché venga fuori proprio come sono i nessi fra ciò che sul mercato viene elaborato e non venduto e il profitto imprenditoriale, che ora viene fuori dal lavoro eccedente, intendo il profitto del capitale.

È assolutamente ovvio che oggi le persone che non hanno idea di come siano tali nessi nella vita economica non sono ancora in condizione di parlare sulla reale composizione di associazioni. Infatti qual è lo scopo di queste associazioni? Esse hanno proprio il compito di utilizzare quelle conoscenze che ancora mancano, per giungere infine al prezzo economicamente giustificato. Se associazione e associazione si scambiano le loro esperienze, se, anziché calcolare, si scambiano viventemente queste esperienze, allora alla fine il problema del prezzo sarà risolvibile semplicemente nella pratica. Non c'è alcuna teoria per risolvere il problema del prezzo. Non lo si può formulare, ma soltanto quando si procede da una qualche merce e veramente nella vita si sperimenta quali merci vengono scambiate con questa merce, soltanto allora si può determinare in modo pratico quanto questa merce debba costare, ma praticamente con quasi totale esattezza. Questo non lo si può fare con i numeri, va fatto facendo confluire le esperienze di un gruppo di persone che ha esperienza in un settore, di un altro gruppo che ha fatto esperienza in un altro settore, di un terzo gruppo che ha esperienza in un terzo settore e così via. La cosa non è così complicata come oggi forse si immagina; e potete star proprio certi che tante persone quante certi Stati ne hanno usate per il loro militarismo o per la loro polizia, così tante persone non serviranno per porre veramente le associazioni in piedi in questo modo affinché possano risolvere il problema dei prezzi. E questa è la cosa più importante nella vita economica. Allora in un certo senso ciascuno ha una normativa; ciascuno vede dal prezzo quanto gli è necessario lavorare. Non è affatto necessario stare a riflettere su come si voglia portare l'uomo al lavoro, perché da quel che qui determina il prezzo egli vede da sé quanto deve lavorare; si orienterà in base a questo, e potrà negoziare su basi del tutto diverse sulla quantità del suo lavoro, sul suo tempo lavorativo ecc., con le altre persone, con reciprocità.

Oggi vorrei dire ancora soltanto questo: cos'è dunque l'essenziale nella vita economica? Il prezzo delle merci. Se partite dalla vita economica, nel senso de I punti della questione sociale, trovate anche che cos'è la cosa più importante nella vita statale – ma certamente qui dobbiamo pensare ad una vita statale vivente. Nella vita statale la cosa più importante sono i diritti e i doveri che si possono stabilire attraverso la convivenza, che le persone stabiliscono reciprocamente. Bisogna pensare a come nella vita economica vengano fatte confluire esperienze attraverso l'attività delle associazioni, per giungere infine al prezzo della merce che domina la vita economica; bisogna pensare a come tutto ciò che non tende a questo fissaggio dei prezzi deve essere tratto dalla vita economica. Stato democratico nella vita statale o, se si tratta della vita spirituale, libero inserimento del settore spirituale nell'organismo sociale; nella vita spirituale è la fiducia, a giustificare la costituzione, nella vita statale il sentimento dei diritti e dei doveri. L'associativo mira al giusto prezzo. La vita economica ha bisogno di fiducia come forza della vita spirituale, ha bisogno di sentimento per i diritti e i doveri. Con questo ritmo di diritti e doveri, qui abbiamo una duplicità, come nella vita umana espirazione e inspirazione. Questo è ciò che deve pulsare nella vita statale, e la fiducia è ciò che deve pulsare nella vita spirituale.

Per esempio nelle domande (come ho detto, oggi ho solo ricavato un'impressione generale dalle diverse domande) c'è qualcosa che entra in questione in merito a tale impressione generale: è la domanda su come poi questa vita spirituale in realtà dovrebbe agire sugli altri due settori dell'organismo sociale, su come essa debba essere costituita in se stessa. Ma di questo riparleremo ancora dopodomani. Ma lasciate una volta che vi ponga davanti all'anima (secondo il sentimento e senza pregiudizi, non influenzati da quel che c'è già e che è stato continuamente introdotto nella vita spirituale da parte dello Stato), lasciate che vi ponga davanti all'anima quella che è la vita spirituale fondata su se stessa. Ora, egregi convenuti, io penso che qui in realtà tutti riuscirete a capirmi benissimo: se prima la vita spirituale è libera, allora nella vita spirituale agirà per primissima cosa la bravura che viene riconosciuta, che viene portata attraverso la fiducia; questa bravura agirà, e agirà nella stessa misura in cui questa vita spirituale viene emancipata dallo Stato. E fra tutti quei 'codini' che non hanno voluto saperne nulla del nostro consiglio culturale, si è potuto notare molto bene (l'ho già caratterizzato sotto un altro aspetto): se si doveva arrivare alla bravura sostenuta dalla fiducia, e non alla bravura certificata dallo Stato, ben presto non sarebbero più stati seduti sulle loro sedie curuli. Questo è ciò che del nostro appello al consiglio culturale ha fatto volatilizzare così velocemente da tutte le parti le persone, il fatto che (detto per immagini) le falde dei frac e delle giacche sono volate via nel vento molto, molto lontano per la velocità con cui se la sono data a gambe quando noi li abbiamo incitati ad una vita spirituale libera. Ora, oggi, egregi convenuti, volevo appunto parlare in modo preliminare di qualcosa che ci può portare ad entrare nel dettaglio sulle domande poste. Prima di tutto, perché vedo che ce n'è urgente bisogno, vorrei entrare sulle domande concrete sulla configurazione dei singoli settori dell'organismo sociale e sulla loro azione congiunta. Però vorrei essere capito, e a tal pro vorrei appunto studiare per bene le domande per martedì prossimo ed elaborarle. Ma questo sia studiando I punti essenziali della questione sociale sia anche ascoltando tutto ciò che ho detto altrimenti attenendomi a questa direzione della nostra attività scientifico-spirituale, vedrete che veramente non si tratta di qualcosa di utopistico. Ma questo forse in un certo senso mi dà anche il diritto di dire che non si dovrebbe tradurre in utopia ciò che è inteso con I punti essenziali della questione sociale. Io sento parlare di questa utopisticità in molti modi che mi vengono incontro, per esempio, quando uno mi viene a dire: “Quando avremo la triarticolazione dell'organismo sociale, allora che ne sarà di questo e di quello?” Così pensa appunto proprio l'utopista. La persona pratica invece pensa prima di tutto al fatto che si deve fare qualcosa di positivo. In realtà non si tratta di che cosa debba succedere del banchiere A, del modista F, della proprietaria della macchina da cucire C (tutte queste domande sono state poste), ma si tratta di qualcosa di sostanzialmente diverso. Si tratta del fatto che vengano intraprese cose che siano in direzione di uno dei tre impulsi alla triarticolazione dell'organismo sociale.

Si tratta di cominciare in qualche modo con le associazioni. Si deve mostrare come né le cooperative di produzione né le cooperative di consumo possono agire in modo proficuo per il futuro. Bisogna rinunciare alle cooperative di produzione, perché queste proprio nell'esperienza hanno mostrato che le persone dotate di reale iniziativa personale certamente non vi si dedicano, non possono affatto nemmeno farlo. Ma bisogna anche rinunciare alle cooperative di consumo, nonostante siano le migliori, soprattutto quando passano all'autoproduzione; ma certamente non possono raggiungere l'obiettivo necessario per il futuro, per il semplice motivo che non nascono dall'associazione di quel che c'è, ma certamente a loro volta si trovano all'interno del capitalismo del tutto ordinario (almeno da un'angolazione, in quanto inizialmente organizzano unilateralmente solo il consumo e in realtà, qualora lo facciano, integrano solo la produzione dell'organizzazione del consumo. Ancora meno per un vero progresso generano cooperative come per esempio la cooperativa per le materie prime, ecc.; tali cooperative in genere non hanno alcun senso della vita associativa, mentre invece in realtà finiranno solo per fare qualcosa in un angolo preferito interamente in un ambito partitico della vita economica, mentre proprio la questione delle materie prime è strettamente connessa alla questione del consumo. Si direbbe, ma adesso questo è detto un po' per immagini, che il più grande interesse all'interno dell'intera vita economica per i lavori della preparazione della materia prima del tabacco nelle regioni del tabacco in realtà dovrebbero averlo i fumatori. Ora una buona volta vorrei sapere come oggi nella nostra economia decadente, perversa, l'interesse che il fumatore ha nella questione della materia prima, nell'economia della materia prima, si connetta con il prodotto che egli infine fa evaporare nell'aria; egli conta solo sulla più estrema periferia. Ho solo scelto un esempio un po' comico, perché va tanto in là; con altri esempi il contesto va notato molto di più. Il contesto associativo necessario proprio fra l'acquisto di materie prime e il consumo oggi non viene affatto notato.

È appunto così: questo pensare tirato via dalla realtà traduce sempre in una teoria ciò che in realtà nei Punti essenziali è pensato in modo pratico. E la gran parte delle teorie, la gran parte della pura mistica affaristica, se posso usare quest'espressione, l'ho poi trovata quando le persone pratiche dei giorni nostri hanno tradotto nel loro linguaggio ciò che era stato pensato in modo pratico dei Punti essenziali, perché di regola pensano solo a partire da una angolazione molto ristretta; e tutto ciò che è fuori, al di fuori di questa angolazione che essi dominano come abitudinari, per loro si confonde in una nebulosa mistica affaristica. Ma questo è proprio contro il principio associativo. Il principio associativo deve mirare a che il valore delle merci venga determinato dal loro rapporto reciproco. Ma questo può succedere solo se si associano i settori più disparati, perché tanti settori stanno in un qualche legame associativo diretto o indiretto, e tanti settori mirano, con la loro attività, a raggiungere il prezzo delle merci consono all'economia, che è necessario. Non si può calcolare il prezzo, ma si possono unire settori economici associativamente, e quando questi si uniscono in modo che con questa unione viene fuori la quantità di persone che devono essere impiegate in ogni singolo settore secondo l'economia complessiva, secondo la produzione e il consumo, allora viene fuori del tutto da sé: “Tu mi dai i tuoi stivali per tanti cappelli che ti do io”. Allora il denaro funge solo da mediatore. Ma dietro ciò che viene mediato attraverso il denaro, c'è tuttavia (per quanto denaro ancora si interponga come prodotto intermedio) tuttavia c'è il modo in cui il valore degli stivali determina il valore dei cappelli, il modo in cui il valore del pane determina quello del burro e così via. Ma questo viene fuori solo in quanto nella vita associativa un settore interagisce con l'altro. Credere che si possano fondare associazioni solo fra produttori di un unico settore – questo non si associa. Che cosa significa, lo vedremo ancora la prossima volta, dopodomani. L'associazione è l'unione, l'unificazione che avviene per poter produrre quell'esponente comune che poi si estrinseca nel prezzo. Questo è un dispiegarsi vivente della vita economica, e solo così questa vita economica si avvicina ad un giusto soddisfacimento dei bisogni umani. Questo può succedere solo se le persone si inseriscono nella vita economica con pieno interesse, non solo si chiedono: “Quali sono gli interessi del mio settore? Che cosa ne ricavo per il mio settore? Come impiego le persone nel mio ramo?” Questo può succedere solo se le persone hanno queste preoccupazioni: “Come deve rapportarsi il mio settore con gli altri settori, affinché i reciproci valori delle merci vengano determinati correttamente?” Vedete, egregi convenuti, innanzitutto non è una frase fatta, quando dico che si tratta di trasformare il modo di pensare. Chi oggi crede di poter andare avanti continuando a blaterare nel vecchio modo di pensare non fa che portare le persone più addentro nella decadenza. Oggi dobbiamo credere di dover veramente cambiare più di tutto il modo di pensare proprio nella vita economica.

Allora, continueremo dopodomani.


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